mercoledì 25 aprile 2012

It's a (mad) men's world


A luglio del 2007, quando il caldo ci aveva fatto piacevolmente scivolare tutti in un torpore indolente, i miei colleghi ed io fummo travolti da un terremoto televisivo che avrebbe cambiato per sempre le nostre vite professionali: la prima puntata di Mad Men.

Arrivammo al lavoro il giorno dopo con lo sguardo afflitto e la tentazione di appendere final draft al chiodo perché, ed era bastato un solo episodio a chiarircelo per sempre, nessuno di noi, per quanto lunga e fulgente fosse stata la sua carriera, avrebbe mai potuto aspirare a tanta perfezione.

Non credo che al mondo ci sia ancora qualcuno che non abbia idea di cosa parli Mad Men, ma comunque, per amor di precisione, vado a riassumere. New York 1960: in quel di Madison Avenue un gruppo di pubblicitari, capitanato dall'enigmatico e spregiudicato direttore creativo Don Draper, compie le sue gesta mentre l'America assiste alla campagna elettorale per la presidenza, che vede contrapposti Nixon e Kennedy.

D'accordo, ho ridotto all'osso e mi sono riferita solo alla prima stagione, ma il miracolo di Mad Men, quello che ogni sceneggiatore vorrebbe poter ricreare, è che in ogni puntata succede davvero poco, ma nonostante questo non si riesce a staccare neanche per un attimo lo sguardo dallo schermo. 

Abituati a uno stile narrativo che prevede un colpo di scena al minuto, sequenze action e recitazione convulsa, si viene dapprima spiazzati e poi ipnotizzati dal ritmo lento di questo meraviglioso serial che ha addirittura l'ardire di concludere alcune puntate senza un vero e proprio cliff (se volete sapere cosa significa, consultate il piccolo vademecum alla fine di questo post), e intanto, dovendo compiere ben pochi sforzi per seguire la trama, si hanno il tempo e la concentrazione necessari per rimanere ammaliati da tutto il contesto (fotografia, scenografia, costumi, trucco, parrucco, colonna sonora), di un'accuratezza e un'eleganza degna di Visconti o Kubrick.

Ho riflettuto a lungo per cercare di capire cosa rendesse Mad Men così speciale e alla fine, in soldoni, credo che la sua grandezza risieda nella verità. Non nella veridicità, proprio nella verità.

Certo, perché l'epifania di far sembrare vera la finzione riuscisse, gli sceneggiatori si sono un po' aiutati e così ci sono molti riferimenti - seppur a volte subliminali - alla cronaca e alla politica, e soprattutto ai generi di consumo, ai brand (dopotutto si narra di pubblicitari), ai cibi, alle bevande. Insomma, la verità del dettaglio ci fa credere che sia vero anche il contesto in cui quel dettaglio è collocato.

Si guarda Mad Men e ci si sente catapultati in uno scenario che si conosce e, seppur ammantato dalla patina dei ricordi, ci è straordinariamente familiare. Quanti fra quelli della mia generazione hanno consumato una cena a base di wurstel in lattina mangiati in fretta al tavolo della cucina mentre la mamma in twin-set scalpitava per andare a prepararsi per uscire, e intanto tirava boccate nervose a una sigaretta? Quanti si sono visti proteggere a ogni frenata dell'auto dal braccio del papà teso a mo' di barriera fra loro e il parabrezza? Quanti hanno guardato la tv sdraiati sul tappeto ai piedi del divano sul quale se ne stavano seduti, composti e un po' rigidi, i genitori?

E mentre riconosciamo quel mondo, abbiamo modo di scrutarne i meccanismi che all'epoca della nostra infanzia ci sfuggivano. Finalmente sappiamo come era la vita dei nostri genitori come se oggi, con la consapevolezza e gli strumenti degli adulti, li stessimo spiando dal buco della serratura. In fin dei conti è un po' come fare una bella psicoterapia, ma in modo più piacevole e a prezzi decisamente più contenuti. E non credo sia poco.

Nel frattempo ci struggiamo per quello che fino al 2007 ci sembrava obsoleto o addirittura di cattivo gusto: le pettinature cotonate, i vestitini fine anni cinquanta, poi anni sessanta e adesso fine anni sessanta, le procaci curve di Joan Harris, i capelli impomatati di Don Draper, i mobili vintage (tutta roba che è transitata nelle nostre case e di cui i nostri genitori poi si sono liberati), quel bere, mangiare e fumare senza tregua, nella beata ignoranza delle conseguenze di questi atti scellerati.

Il 25 marzo di quest'anno, dopo 17 mesi di estenuante attesa, finalmente è cominciata la quinta stagione di Mad Men con un doppio episodio che ritengo entrerà nella storia della televisione, ma che per il momento ha già fornito nuovo, preziosissimo materiale all'immaginario erotico dei signori uomini. Facendo correre a ritmo leggermente accelerato le lancette dell'orologio (ma mai come in Downton Abbey dove in due stagioni si copre un arco temporale di otto anni), siamo arrivati al 1968 e tutto lascia supporre che ne vedremo delle belle.

Attingete alla fresca acqua del torrente, cari lettori.
Vi assicuro che ne vale la pena.


BANANA NUT BREAD
Per una teglia da plumcake di 20x10 cm

Vi avviso, è una ricetta americana e pertanto americane saranno le quantità, indicate in tazze, cucchiai e cucchiaini.

2/3 di tazza di latte intero
1 cucchiaio di succo di limone
2 tazze e 1/2 di farina 0 setacciata
1 cucchiaino e 1/2 di lievito vanigliato
1 pizzico bello grande di sale
1/2 tazza di burro
2/3 di tazza di zucchero
2/3 di tazza di noci tritate
2 uova grandi categoria A
2 banane talmente mature da risultare quasi immangiabili

Dovendo abbinare una ricetta a questo post, come prima cosa mi è venuto in mente il tipico meat loaf americano, quello servito con contorno di mashed potato e accompagnato dall'immancabile bicchiere di latte. Negli anni '70, quando guardavamo alla tv con il dovuto ritardo le serie televisive di una decina di anni prima, non c'era cena in famiglia che non prevedesse questo menu. Poi ho pensato che fosse tutto un po' troppo facile e così ho ripiegato su questo pane profumato e gustoso, che è un altro grande classico dell'epoca.

Benché questa ricetta sia stata messa a punto negli anni '30, è a metà degli anni '50 - quando fu inserita nel celebre ricettario Chiquita - che cominciò a diffondersi in tutti gli Stati Uniti. Grazie alla velocità e alla semplicità del procedimento, che ne rendevano agevole la preparazione a qualsiasi casalinga, negli anni '60 non c'era casa in cui non fosse sfornato con una certa regolarità.


Veniamo a noi. Per cominciare accendete il forno a 180° e imburrate uno stampo da plumcake di cui rivestirete il fondo con la carta forno. Mescolate in una ciotola gli ingredienti secchi e teneteli da parte. Intanto unite il succo di limone al latte, girate con cura e aspettate che cagli (ci vorrà almeno un minuto). Nell'attesa, montate con la frusta elettrica il burro ammorbidito e lo zucchero. Quando il composto sarà diventato chiaro e spumoso, aggiungete le uova una alla volta avendo cura di aspettare che il primo si sia amalgamato prima di unire il secondo. A questo punto aggiungete le banane schiacciate, quindi gli ingredienti secchi alternati al latte cagliato. Lavorate fin quando la miscela non risulterà soffice e liscia, poi aggiungete le noci tritate e mescolate un'ultima volta. Versate il composto nello stampo, livellatelo battendo un paio di volte la teglia sul ripiano della cucina protetto da un canovaccio piegato, e infornate. Cuocete per un'ora e sfornate solo dopo aver verificato con uno stecchino di legno che l'interno del pane sia asciutto. 

 

mercoledì 4 aprile 2012

A grande richiesta


In questo momento in rete ne girano davvero tante e sono una migliore dell'altra, ma siccome me l'avete chiesta...

Ecco a voi la mia ricetta della pastiera (che poi è - da sempre - quella della prima edizione de Il talismano della felicità, appartenuto alla nonna Titta). Da tradizione questo dolce si prepara il giovedì perché deve avere il tempo di riposare e inumidirsi, perciò o lo preparate domani oppure se ne parla l'anno prossimo.

Per la frolla: 300 g farina - 150 g zucchero - 150 g strutto - 3 tuorli.
Per il grano: 250 g grano già cotto - 1/2 lt latte - 1 pizzico di sale - 1 cucchiaio di zucchero - la buccia intera di un limone - 1 pizzico di cannella
Per la crema di ricotta: 500 g ricotta di pecora - 350 g zucchero - 6 tuorli - 1 pizzico di cannella - la buccia grattuggiata di un limone - 2 cucchiai di acqua di fiori d'arancio - 200 g di canditi misti (arancia, cedro e cocozzata) tagliati a dadini - 4 chiare montate a neve

Preparate la frolla impastando tutti gli ingredienti il minimo necessario a formare una palla omogenea e poi avvolgetela nel cellophane e mettetela a riposare in frigo per 30 minuti. Se volete usare lo strutto, come da tradizione, assicuratevi che sia di primissima qualità, altrimenti usate il burro. A casa mia lo strutto non si usa più da quando i coloni hanno smesso di portarcelo da Gragnano e, mentre all'inizio ne facevamo una tragedia, alla fine ci siamo abituati a farne a meno. 

Mentre la frolla riposa, occupatevi del grano che aggiungerete insieme agli altri ingredienti al latte già al bollore. Regolate la fiamma al minimo, coprite con un coperchio e fate cuocere dolcemente fin quando il liquido non si sarà assorbito del tutto. A questo punto tirate via le bucce di limone e mettete il grano a raffreddare in un piatto. 

Per la crema è essenziale che la ricotta sia setacciata in modo da essere perfettamente liscia, solo a questo punto aggiungerete lo zucchero e poi, dopo aver mescolato bene, i tuorli a uno a uno. Aggiungete tutti gli altri ingredienti, compreso il grano ormai freddo e, con molta delicatezza e mescolando dal basso verso l'alto, le chiare montate a neve. 

Dividete l'impasto in modo da lasciarne da parte un terzo, stendetene i due terzi in una sfoglia di 3 o 4 millimetri di spessore e rivestite una teglia (unta con lo strutto o imburrata, a secondo di quel che avete usato nell'impasto) di 25 cm di diametro (vanno benissimo quelle di alluminio un po' svasate). Versate all'interno il ripieno e poi stendete la frolla restante da cui ricaverete le strisce che disporrete sulla sommità della pastiera. 

Fate cuocere in forno già caldo a 160° per un'ora e un quarto. Chiaramente la cottura varia da forno a forno, per darvi un'ulteriore indicazione vi dirò che la pastiera deve risultare soda e asciutta per essere pronta. Fatela poi raffreddare nel forno aperto e, quando sarà tiepida, cospargetela di zucchero a velo. Dimenticatevela per tre giorni (a casa di mia nonna si sistemava sulla consolle del salotto, coperta da un canovaccio). Prima di servirla, domenica, se volete cospargetela nuovamente di zucchero a velo.