martedì 27 settembre 2011

Essi vivono

Perdonatemi, ma anche questa volta il titolo del post è ingannevole e John Carpenter non  ha niente a che fare con quello di cui parlerò (benché Essi vivono abbia invece moltissimo a che fare con la situazione attuale del nostro paese).  Ladies and gentlemen, oggi si parla di digestione e dei problemi ad essa legati! Gioite, please.

La mia mitica nonna - che ha 94 anni e una salute inossidabile - è una virtuosa dei disturbi di stomaco che conosce, e ha sperimenteto, in ogni possibile variante. Acidità, pesantezza, crampi, spasmi, gonfiore, dolore... se proprio non riesce a incasellare il disturbo fra quelli conosciuti, sostiene di avere una pena di stomaco i cui sintomi, nonostante indagini accurate (non mediche, investigative. Per capirci, le ho fatto più domande di quante gliene avrebbe fatte Miss Marple), rimangono ancora un mistero.

La nonna sfugge a ogni regola, perché le dànno fastidio le cose più impensate. Che so, il merluzzetto bollito per lei è come l'anticristo mentre non ha nessun problema con le fritture, di cui è ghiottissima. A prescindere dalle simpatiche peculiarità di mia nonna, c'è però un ortaggio che, credo, sia indigeribile per i più: il peperone. 

Se, come dice un mio amico, la birra nel corpo umano è solo di passaggio, i peperoni sono destinati a rimanervi molto, molto a lungo. Insomma, essi vivono in noi e ci tengono compagnia per una buona giornata (anche se il mio record personale l'ho registrato al Cairo e i peperoni non c'entravano niente. Si trattava di una polpettina speziatissima - vai a capire cosa contenesse - mangiata al Khan el Khalili e digerita quindici giorni dopo ad Assuan). Se siete disposti a tollerare questo piacevole effetto collaterale, complimenti! Siete nel posto giusto e qui c'è la ricetta che fa per voi.


PEPERONI RIPIENI DI PASTA
Per 4 persone

4 peperoni (meglio se tondi)
200 g di pasta corta
1 barattolo di filetti di pomodoro
100 g olive nere snocciolate
1 pugno di capperi sotto sale
2 spicchi d'aglio
100 g di scamorza bianca
basilico, pepe, olio EVO

 

Questo è il tipico piatto poca spesa, molta resa perché si prepara in dieci minuti ma è molto scenografico e fa la sua figura. Ok, partiamo. In un tegame capiente, mettete a rosolare l'aglio in 4 cucchiai d'olio. Aggiungete le olive e i capperi (io non li sciacquo e poi non aggiungo altro sale, ma - come sempre - voi fate come meglio credete) e, dopo qualche attimo, i filetti di pomodoro e il basilico. Lasciate cuocere a fuoco dolce (considerate che la salsa si deve insaporire ma non tirare troppo) e nel frattempo lavate e pulite i peperoni in questo modo: effettuate un taglio circolare intorno al picciolo, toglietelo, asportate la parte bianca spugnosa quindi svuotate i peperoni dei semi e delle nervature bianche (aiutatevi con uno scavino) facendo attenzione a non romperli.  A questo punto la salsa dovrebbe essere pronta. Spegnete il fuoco e rovesciate nel tegame la pasta corta (CRUDA) mescolando bene per condirla uniformemente. Riempite i peperoni fino alla metà con la pasta, inserite quindi qualche dadino di scamorza, e aggiungete tanta pasta quanta ne serve per arrivare al bordo. Coprite ogni peperone con il proprio picciolo (qui a Napoli diremmo turzillo), sistemateli in una teglia, irrorateli con un filo d'olio e infornateli a 160° (in forno FREDDO) per un'oretta. Sfornate, lasciate riposare per una decina di minuti e poi godeteveli, cercando di non pensare a quello che succederà dopo.


Dopotutto, domani è un altro giorno.

 

mercoledì 21 settembre 2011

Una serie di sfortunati eventi


Chiarisco subito che questo post non ha nulla a che vedere con il film ma - da brava sceneggiatrice ne sono tristemente consapevole - spesso la realtà supera di gran lunga la finzione. Tutto è cominciato la settimana scorsa... No, per la verità tutto è cominciato molto molto tempo prima, mi sembra sia stato una mattina di quasi due anni fa... (A questo punto vi chiedo di fare uno sforzo e immaginare il mio viso che scompare in dissolvenza incrociata, lasciando apparire al suo posto - con un appropiato effetto flou che ci riporta al passato - la mia cucina, rischiarata appena dalle prime luci di un mattino piovoso, mentre la mia voce fuori campo continuerà a guidarvi nel racconto. Insomma, fate finta di essere al cinema. Ci siete? Allora possiamo proseguire!)

Il bollitore per il tè era già sul fuoco e io aspettavo di sentirne il familiare fischio dal mio studio, mentre controllavo la posta del mattino (posta elettronica, ovviamente) quando il gentile consorte, ancora assonnato e in pigiama, venne a darmi la ferale notizia. "Bene, il microonde si è rotto" - là per là non registrai la cosa e, stancamente, come ogni mattina, rimproverai mio marito di quella sua mania. Per quale motivo, visto che il bollitore era sul fuoco, lui doveva giocare d'anticipo e mettere a scaldare il suo caffè solubile (perdonatelo, in questo la sua metà francese del DNA ha la meglio su quella napoletana) nel microonde facendo, fra l'altro, spesso e volentieri strabordare il contenuto della tazza sul piatto girevole? Il consorte, paziente, puntualizzò che non l'avevo ascoltato. Per quella mattina non avrebbe rovesciato un bel niente sul piatto girevole, perché il microonde si era rotto.

Gridai alla tragedia - più per principio che per altro, visto che il microonde non lo usavo poi tanto - e dichiarai battagliera che bisognava portarlo ad aggiustare prima di subito. Il consorte (l'unico che il microonde lo usava davvero) fu immediatamente d'accordo. Avrebbe provveduto lui, bastava che gli dessi l'indirizzo dell'assistenza. Niente di più facile, se non fosse che una rapida ricerca sul web ci fece drammaticamente scoprire che la maledetta assistenza era più irraggiungibile della vetta dell'Everest. Praticamente il consorte avrebbe dovuto dedicare un'intera giornata alla consegna dello stronzissimo elettrodomestico, che aveva avuto l'impudenza di rompersi giusto un anno dopo l'acquisto (ma guarda tu, proprio allo scadere della garanzia!), e un'altra giornata per recuperarlo al centro assistenza. Ciononostante mi assicurò che non c'era problema; appena avesse avuto un giorno libero, avrebbe agito.

Passarono i giorni, le settimane, i mesi e infine gli anni senza che il gentile consorte avesse un attimo di respiro, e il povero microonde - dapprima malfunzionante e poi definitivamente morto - fu lentamente relegato da mio marito al ruolo di armadietto di cucina, un posto dove custodire gelosamente qualche avanzo serale da consumare poi il giorno dopo nella solitudine delle sue pause pranzo casalinghe.

Arriviamo così alla settimana scorsa quando mio marito comincia ad aggirarsi per casa fiutando l'aria come un cane da tartufo. "Bene, tu non senti niente?" - Io, che mi sono massacrata il naso con continue overdosi di vicks sinex (è stato più facile smettere di fumare e perdere 40 kg, che disintossicarmi dal decongestionante della mucosa nasale!), ho notoriamente un olfatto ondivago e quindi non facevo che ripetere che no, non sentivo niente. Ma il consorte insisteva. Era certo del fatto suo: entrando in cucina, più o meno all'altezza della dispensa, si sentiva odore di rancido; insomma, un odore come di carne putrefatta. Mi sono fidata e, temendo che uno dei nostri tre cani avesse nascosto un bocconcino prelibato sotto qualche mobile, ho proceduto alla pulizia sistematica e definitiva di tutto il pavimento, togliendo battiscopa e spostando mobili, ma non c'è stato niente da fare. La sentenza era sempre la stessa: il fetore persisteva! 

L'arcano è stato svelato qualche sera dopo quando la mia metà (e lo è davvero visto che pesa la metà di quel che peso io) è stata colta da una folgorazione. La settimana prima avevamo comprato un pollo arrosto in rosticceria, lui aveva mangiato le due cosce, io uno dei due petti e il resto era stato da lui riposto con cura nel microonde e lì dimenticato. A quel punto la mia ira si è rivelata più funesta di quella del pelide Achille - ma ritengo di aver avuto tutte le ragioni - e ho preso a inveire contro il consorte imponendogli di chiamare l'ASIA e sbarazzarsi sia del microonde che del cadavere putrefatto del pollo.

Già così sarebbe abbastanza, ma il meglio è venuto dopo. Il giorno seguente, dopo la lite furiosa della sera prima, decido di scambiare con mio marito un segno di pace e gli propongo di andare insieme a comprare un microonde nuovo. Arriviamo al negozio ma non c'è parcheggio perciò lui decide di rimanere in macchina - momentaneamente in doppia fila - e io mi fiondo dentro per concludere l'acquisto. La scelta si rivela però più difficile del previsto e quindi, dall'interno del negozio, chiamo il consorte per una breve consulenza telefonica. Dissipato ogni dubbio, pago ed esco trionfante, salvo trovare il consorte ostaggio di due vigilesse che, mentre lui appare affranto, mi spiegano l'accaduto. Le perfide, mentre lui era parcheggiato e parlava al cellulare con me, gli avevano fatto cenno con molta insistenza di circolare. Il poveretto, sovrappensiero, si era affrettato a eseguire e a quel punto si era visto schiaffare una paletta sul parabrezza. Per averlo sorpreso (sigh!) alla guida senza cintura e intento a parlare al cellulare, le arpie ingannatrici avrebbero dovuto affibbiargli più di 300€ di multa ma erano disposte a chiudere un occhio sulla cintura e fare un verbale esclusivamente per il cellulare.

Ora, se c'è una cosa che mi fa impazzire è questo apparente essere magnanimi da parte dei poliziotti. Insomma, o ho commesso un'infrazione, e allora pretendo di pagarla, oppure non l'ho commessa e allora è inutile che tu poliziotto stai lì a fare esercizio di potere e di finta conciliazione. Per farla breve la situazione ha rischiato seriamente di degenerare e, prima che fossi arrestata per oltraggio a pubblico ufficiale, mio marito ha dovuto letteralmente trascinarmi via. Siamo arrivati a casa senza aver scambiato neanche una parola, stremati da quelle ultime ore e, muti ed efficienti, abbiamo disimballato il microonde per metterlo al suo posto dove - poteva mai finire bene questa storia? - non è entrato perché avevo preso male le misure.

Di comune accordo abbiamo deciso che mai più nella vita un microonde entrerà in casa nostra e, per evitare che accadesse la stessa cosa anche col pollo, quella sera ci siamo consolati così...


BOCCONCINI DI POLLO CON GERMOGLI DI SOIA E RISO BASMATI
Per 2 persone

300 g di filetto di pollo
250 g di germogli di soia freschi
1 cipolla bella grande
100 g di riso basmati
3 cucchiai d'olio EVO
3 cucchiai di salsa di soia
5 cucchiai di aceto balsamico
sale a piacere

Fate un battuto con la cipolla e mettetela a rosolare con l'olio in un wok (tanto per sentirvi esotici, ma va bene una qualsiasi padella capiente), aggiungete il filetto di pollo tagliato in pezzetti di circa 2 cm di lato e fatelo saltare fin quando non sarà dorato. A questo punto tirate il pollo con la soia e l'aceto balsamico e, un attimo prima che il liquido sia completamente assorbito, unite al tutto i germogli di soia. Quando il liquido sarà assorbito, i germogli di soia appassiti ma ancora croccanti e il tutto piacevolmente caramellato, aggiungete il riso basmati che avrete lessato a parte. Date un'ultima saltata generale, e - se ci riuscite - mangiate con le bacchette giusto per darvi un tono etno-chic. 


sabato 17 settembre 2011

A proposito di Mildred


Confesso che avendo molto amato Il romanzo di Mildred (e con lui una caterva di mélo americani che ho guardato avidamente durante l'adolescenza; giusto per fare qualche titolo: Come le foglie, Lo specchio della vita, Femmina folle...), ho accolto la notizia che l'HBO volesse farne una miniserie con un certo scetticismo. Per carità, io nutro una venerazione per l'HBO che sicuramente, a partire dagli anni novanta, ha prodotto i serial più interessanti e innovativi (Sex & the City, i Soprano, The Wire, Oz, Six Feet Under... e ancora In Treatment, Boardwalk Empire), ma guai a chi mi tocca le icone assolute. Insomma, per capirci, se qualcuno dovesse mai avere l'insana idea di fare un film tratto da Cent'anni di solitudine, andrei di sicuro a sabotare il set.

Con questi presupposti, la primavera scorsa mi sono accinta alla visione della Mildred Pierce HBO, ma mi sono dovuta ricredere fin dai titoli di testa, meravigliosi nella loro austerità, disegnati da Marlene McCarty in stile anni '30. Contrariamente al film di Curtiz, la miniserie diretta da Todd Haynes (che ne ha firmato anche la sceneggiatura con Jon Raymond e Jonathan Raymond, e aveva già dato prova di saperci fare col mélo quando diresse Lontano dal paradiso) è più fedele al romanzo di J. M. Cain sia nell'epilogo che nel suo svolgimento lineare. Infatti mentre il film comincia dalla fine della storia per poi raccontarla tutta in flashback con toni decisamente noir, la miniserie parte proprio dal momento in cui, già nel pieno della grande depressione e quindi ormai quasi sul lastrico, Mildred mette alla porta il marito che la tradisce.

Per farvi capire quanto ho amato questa miniserie, vi basterà sapere che vista la prima puntata ho voluto subito vedere la seconda, e poi la terza, e poi la quarta... insomma, non mi sono data pace fin quando non l'ho finita. Mildred, splendidamente interpretata da una Kate Winslet che con gli anni diventa sempre più brava e bella (beata lei), è una donna di quelle che piacciono a me. Intraprendente, impavida, volitiva, tenace al limite dell'ostinazione. Le avversità non la abbattono, il dolore la fa diventare più forte, l'orgoglio la spinge a non mostrarsi mai vinta, anche quando lo è. Tutte queste caratteristiche, che rendevano algida e distaccata Joan Crawford (l'indimenticabile Mildred Pierce di Curtiz, ruolo per cui vinse l'oscar), ci vengono invece restituite dalla Winslet con un retrogusto dolente che fa della sua Mildred una creatura decisamente più umana, con cui è molto più facile empatizzare.

Sebbene il ritmo della narrazione sia un po' lento (e questa, insieme all'interpretazione del da me detestato Guy Pierce, è l'unica pecca che abbia trovato in questa miniserie), le scenografie, i costumi, il casting, le musiche, la fotografia, sono così accurati da far dimenticare ogni lungaggine. Inevitabilmente, ammaliati da tutto il contesto, ci si appassiona all'epopea di questa donna e io, pur sapendo perfettamente dove si stava andando a parare, facevo quasi il tifo per Mildred sperando che la sua ostinazione - grande forza propulsiva ma anche terribile punto debole - non le fosse fatale.

A questo punto mi fermo, non dirò di più, perché Mildred Pierce andrà in onda a ottobre su Sky cinema e non voglio rovinare a nessuno il piacere di assaporarne ogni singolo fotogramma (fra l'altro sono sicura che domani sera - avendo ben 21 candidature - la miniserie si porterà a casa un bel po' di Emmy). Una cosa però posso anticiparvela, anche perché credo sia nota ai più. Mildred riesce a far fortuna e a cambiare la propria vita cucinando (come vorrei poterlo fare anch'io!) ed è proprio con lei che prepara torte, che comincia la miniserie. Una meravigliosa sequenza d'apertura giocata su un doppio fuoco, che è una goduria per gli occhi, non solo per le ricette, ma anche per gli arredi e gli utensili d'epoca che qualsiasi cuochessa romantica e nostalgica come me, vorrebbe portarsi a casa.

In omaggio a Mildred, oggi si prepara quindi una torta, e più precisamente la Lemon Meringue Pie che lei - ve ne accorgerete anche voi sebbene non la si nomini mai - confeziona fra gli altri dolci nella sequenza d'apertura. Speriamo di essere all'altezza!



LEMON MERINGUE PIE
(nella fantastica versione di Angela Nilsen)

Per la base:

175 g di farina
100 g di burro ben freddo tagliato in piccoli pezzi
1 cucchiaio di zucchero a velo
1 cucchiaio di acqua fredda
1 tuorlo (conservate l'albume per la meringa)

Per la crema di limone:

100 g di zucchero semolato
2 cucchiai rasi di maizena
la buccia grattugiata di due limoni
125 ml di succo di limone
il succo di un'arancia più tanta acqua quanta è necessaria a raggiungere 200 ml
85 g di burro
3 tuorli (come prima, conservate gli albumi per la meringa)
1 uovo intero

Per la meringa

4 albumi
200 g di zucchero semolato
2 cucchiai di maizena

Mettetevi una bel grembiule, rimboccatevi le maniche e avviate la pasta per la base fregandovene bellamente della filologia e ricordandovi che siamo pur sempre nel terzo millennio, ovvero: mettete tutto nel mixer che azionerete a intermittenza fin quando non si sarà formato un composto compatto. Stendete poi con il mattarello l'impasto ottenuto su un bel foglio di cartaforno (sempre per essere pratici) e rivestite una teglia che abbia 23cm di diametro e 2,5 di altezza, molto, moltissimo meglio se è con il fondo removibile. Bucherellate la base con una forchetta e mettetela in frigo a riposare per almeno 30 minuti.
Nel frattempo preriscaldate il forno a 200° e avviate la crema al limone (che poi altro non è che un lemon curd), mescolando in una pentola dal fondo spesso la buccia di limone grattugiata, la maizena e lo zucchero, per poi diluirli a poco a poco con il succo di limone e la mistura di succo d'arancia e acqua. Spostatevi sul fuoco e, mescolando di continuo con una frusta, cuocete fin quando la crema non diventerà densa e liscia. A questo punto tirate via dal fuoco e, sempre mescolando con la frusta, aggiungete il burro a pezzetti. Quando il burro sarà sciolto e perfettamente amalgamato, aggiungete i tre tuorli e l'uovo, sbattuti insieme. Mescolate vigorosamente e riprendete la cottura - sempre mescolando, guai a smettere! - fin quando la crema si sarà nuovamente addensata.
Mettete da parte la crema, infornate la base ricoperta di carta forno e fagioli secchi per 20 minuti  (poi sbarazzatevi della carta e dei fagioli e continuate la cottura della base ancora per 5 o 10 minuti, insomma fin quando non è ben dorata) e intanto avviate la meringa. Anche in questo caso, che non vi punga vaghezza di farla a mano! Attrezzatevi con fruste elettriche e montate gli albumi unendovi prima la maizena setacciata e poi lo zucchero a cucchiaiate. Continuate a montare fin quando non avrete ottenuto una meringa morbida e lucente.
Abbassate la temperatura del forno a 180°, sfornate la base, riempitela con la crema al limone, ricoprite artisticamente il tutto con la meringa e rimettete in forno per venti minuti. Sfornate, ammirate, aspettate almeno mezz'ora prima di sformare e almeno 2 ore prima di affettare.



Consumate in giornata (ma non credo proprio sia un problema).

lunedì 12 settembre 2011

Ci vuole un fisico bestiale


È giunto il momento di svelarvi la mia natura divina. Sono Nostra Signora dell'Adipe. 133kg per 171cm di altezza (ma fino a un anno e mezzo fa ero perfettamente sferica, con peso e altezza che si equivalevano). Ho trascorso tre quarti della mia vita alternando pellegrinaggi da dietologi e nutrizionisti che mi mettevano a dieta serrata, e grandi orge alimentari che terminavano solo quando avevo recuperato tutti i chili persi e anche qualcosa di più. In totale credo, in trent'anni di fiorente attività nel campo dei disturbi alimentari, di aver perso e guadagnato complessivamente più di 300kg (quando si dice fare le cose in grande!).

Per mia fortuna, la metà della mia vita l'ho invece trascorsa frequentando lo studio di un eccezionale psicologo e - dopo un percorso faticosissimo ma estremamente gratificante - adesso sono "potenzialmente" guarita. Da un anno e mezzo, senza l'ausilio di alcun dietologo ma basandomi semplicemente sulle competenze acquisite in tanti anni di diete, ho trovato un regime alimentare adatto a me che mi ha permesso di perdere circa una quarantina di chili senza per questo privarmi dei piaceri della buona tavola ai quali, periodicamente, accedo con grande soddisfazione.

Mio marito - che quando mi ha conosciuta ha esordito dicendo "ti avverto che a me le donne grasse non piacciono" ma poi un mese dopo mi ha chiesto di andare a vivere insieme - è invece un fanatico della forma fisica nonostante il suo peso non abbia mai superato i 74kg (ed è alto 173cm). Ciò comporta che almeno un paio di volte all'anno (in genere primavera e autunno) dichiara guerra al suo chilo di troppo imponendosi, e giocoforza imponendomi, delle diete estenuanti e molto trendy che hanno l'unico vantaggio di essere anche molto brevi altrimenti, ne sono certa, ci mandrerebbero se non al camposanto, di sicuro al manicomio.

Premetto che, essendo stata cresciuta negli anni '70 da una tipica mamma della buona borghesia nevrotica e un po' ottusa di quell'epoca, io di diete estenuanti e trendy ne ho provate un bel po' (quale cosa migliore per una bambina?). Si partì con la dieta a punti e la dieta delle mille calorie per poi approdare oltreoceano con, in rapidissima successione, Weight Watchers, Scarsdale e - udite udite - la dieta Beverly Hills, da me odiatissima. In quest'ultima dieta si mangiava frutta esotica e null'altro ma siccome Napoli non è uguale alla California e il mondo prima della globalizzazione era tanto tanto grande, reperirla era estremamente difficile. In mancanza di manghi, papaye, carambole, frutti della passione, litchis e quant'altro (che mia madre, armata di buona volontà, ordinò una volta al fruttivendolo più chic di Napoli - l'unico che fosse in grado di importarla - spendendo più o meno quello che guadagnava mio padre in un mese), si ripiegava sull'ananas. Dodici giorni di ananas a colazione, pranzo e cena mi fecero perdere un bel po' di chili ma mi provocarono un disgusto per quel frutto che dura ancora oggi.

Torniamo a noi. Quest'anno mio marito ha introdotto una novità e, invece dell'ormai abituale Scarsdale di due settimane, ha deciso di sperimentare la dieta Dukan, suggerita durante una cena da un'amica sempre sul pezzo. 7 giorni di fase d'attacco, 7 giorni in un delirio di proteine e solo proteine che mi hanno provocato un desiderio struggente non dico di pasta o pane, ma perfino di una foglia d'insalata scondita! Avrei potuto consolarmi pensando che con questa ormai famosissima dieta, Kate Middleton (del celebre duo William & Kate) ha perso talmente tanti chili da rasentare l'aspetto di uno scheletro che deambula, ma capirete, seppure in questa settimana avessi perso 7kg che cosa sarebbe cambiato per me, povera grande obesa che di chili ne deve smaltire ancora una settantina? Insomma, dopo una settimana senza tregua né consolazione, mi ritrovo ad aver perso 2 miseri chiletti mentre quel dannato di mio marito ne ha persi 5!

Adesso che il consorte pesa 69kg e ha quindi almeno 4 kg da recuperare per tornare a essere guardabile, possiamo dire finalmente addio alla deleteria dieta Dukan e alle sue fasi successive (fase di crociera e fase di consolidamento) che salteremo a pie' pari per tornare alla nostra - o almeno alla mia - amatissima fase della normalità.

C'è solo una cosa che salvo della dieta Dukan ed è la colazione, che mi ha consentito di sperimentare degli pseudo pancake che, entrati a far parte del mio ricettario in un contesto così sgradevole, di sicuro vi rimarranno, ingentiliti da un cucchiaio di marmellata fatta in casa o da un po' di miele biologico comprato in montagna.


PANCAKE INTEGRALI DI CRUSCHELLO D'AVENA
(per una colazione senza sensi di colpa)
per 1 pancake

35 g di albume (cioè l'albume di un uovo, ma esistono comodissimi brik di solo albume in vendita al supermercato)
2 cucchiai di yogurt di soia
1 cucchiaio e 1/2 di cruschello d'avena
8 gocce di dolcificante liquido (tipo TIC o DULCERIL)
essenza di vaniglia qb

Si monta appena l'albume con una frusta, vi si aggiungono lo yogurt, il dolcificante e la vaniglia continuando a mescolare, quindi si unisce al tutto il cruschello d'avena. Si fa scaldare una padella antiaderente senza però farla diventare bollente e vi si versa la pappetta ottenuta. Quando la superficie si ricopre di piccole bolle (in genere ci vogliono 2 o 3 minuti) si volta lo pseudo pancake con la paletta e lo si lascia cuocere ancora per un minuto. 

Potrei finire qui, ma siccome credo di meritare - e che meritiate anche voi - un premio di consolazione, vi suggerisco un'altra ricetta decisamente meno punitiva.


MUFFIN AL CIOCCOLATO
per 8 muffin

50 g di burro
100 g di cioccolato fondente
50 g di gocce di cioccolato
200 g di farina
100 g di zucchero
1 uovo intero
250 ml di latte intero
1/2 cucchiaino di essenza di vaniglia
1/2 bustina di lievito in polvere
granella di nocciole qb
un pizzico di sale

Come prima cosa accendere il forno a 180° (guarda caso!) e mettere intanto a sciogliere a bagnomaria i 100 gr. di cioccolato con il burro. Quando tutto sarà fluido e ben amalgamato, levare la casseruola dal fuoco e lasciare intiepidire. Aggiungere quindi al composto ottenuto, lo zucchero, l'uovo leggermente sbattuto con il pizzico di sale, il latte e la vaniglia. Incorporare poi lentamente la farina setacciata con il lievito e mescolate dal basso verso l'alto il minimo necessario a miscelare tutti gli ingredienti. Aggiungere a questo punto le gocce di cioccolato e dare un'ultima, veloce mescolata prima di trasferire l'impasto in una teglia da muffin imburrata e infarinata o, più semplicemente, rivestita con dei pirottini di carta (abbiate cura di riempire i pirottini fino a 3/4 della capienza totale). Spolverare ogni muffin con la granella di nocciole e infornare per 25 o 30 minuti. Sfornate e lasciate intiepidire, quindi deliziatevi dimenticando la dieta.



 Io non vedo l'ora.

venerdì 2 settembre 2011

Nöel Nöel, jour d'allègresse...


No, il titolo del post non è un refuso, io non sono impazzita e l'ansia anticipatoria di mio marito e il suo amore maniacale per le decorazioni natalizie non hanno avuto il sopravvento (andammo a vivere insieme il 5 febbraio di tanti anni fa, cercammo casa in gennaio che le feste erano appena passate e a lui - ogni volta che gliene mostravo una che per me poteva andar bene - interessava solo dove avremmo sistemato l'albero di Natale). Semplicemente, io lavoro per una soap opera.

Forse non tutti sanno che (come da rubrica della settimana enigmistica) il rutilante mondo delle soap, così come il rutilante e ben più glamorous mondo della moda, viaggia sempre in anticipo sui tempi (almeno tre mesi ma a volte anche quattro) così per me agosto e settembre, lungi dall'essere i mesi dell'anguria e dei fichi, sono i mesi degli struffoli e della pastiera (siamo sempre a Napoli!).

Questo vivere perennemente fuori sincrono, richiede molta attenzione perché inevitabilmente - tranne, appunto, in concomitanza delle festività (Natale, Pasqua, Carnevale, San Valentino, Festa della Mamma, Festa del Papà, Halloween... non ci facciamo mancare niente!) - si perde l'orientamento. Capita, tanto per fare un esempio, che si debba ambientare una scena in cortile dove un personaggio, rientrando a casa, s'imbatte nel portiere che gli dà un'informazione utile al prosieguo della storia. Per dare più naturalezza al tutto, solitamente si fa in modo che il portiere non stia lì impalato ma bensì svolga un'attività inerente al portierato... e qui casca l'asino!

In genere si liquida la questione rapidamente - va be', fai che sta innaffiando -. Capirete,  siamo a metà giugno, fuori c'è un caldo avvilente, la natura rigoglia...  cos'altro dovrebbe fare un portiere in prossimità di un'aiuola? E invece no perché, fatti due calcoli, nel tempo traslato della soap siamo invece a metà ottobre e quindi il già citato portiere, si guarderà bene dal dare acqua alle piante in maniche di camicia, e starà piuttosto pacciamando il terreno in previsione dell'inverno con indosso un cardigan di lana per proteggersi dai primi freddi.

Ovviamente le cose a cui fare attenzione sono moltissime: attività, abbigliamento, pietanze, fiori (a te viene normale dire che un personaggio regala alla sua amata un mazzolino di fresie, ma chi te le dà a novembre?) e noi sceneggiatori finiamo con l'assomigliare inevitabilmente a un branco di mamme apprensive sempre in ansia per i loro pargoli. Ti sei ricordato di far prendere il cappotto alla dottoressa? Guarda che fa freddo... mettile anche la sciarpa! No, pasta e patate no che a luglio è troppo pesante! Falle cucinare un'insalata di riso!

E così, come vi ho spiegato, per me ormai già da un po' siamo nel periodo dell'anno in cui si comprano regali, si preparano gli struffoli, si fa il presepe o l'albero (con relativa discussione su quale dei due sia più consono alla tradizione napoletana), si gioca a tombola e ci si veste da Babbo Natale per la gioia dei più piccini. Come ogni anno, faccio una fatica improba a immedesimarmi (a nulla vale l'ausilio dell'aria condizionata sparata alla massima potenza) e la mia unica consolazione rimane il fulgido esempio di Mel Tormé e Bob Wells che scrissero la splendida The Christmas Song (in assoluto la mia canzone di Natale preferita) nel caldo torrido del luglio 1944.

Ma siccome nella vita vera siamo ancora nella bella stagione, io continuo a goderne i frutti preparando una delle ricette estive che amo di più...


POMODORI RIPIENI DI RISO
per 4 persone

8 bei pomodori da riso
8 cucchiai rasi di riso (il trionfo della cacofonia!)
2 spicchi d'aglio
origano, basilico, sale, olio EVO

Si procede così: si lavano i pomodori, si capovolgono, si taglia via il culetto e si svuotano con uno scavino da melone. La polpa ottenuta si frulla poi insieme agli spicchi d'aglio e due o tre cucchiai d'olio fino a ottenere una crema omogenea. Si aggiungono sale (abbondante poiché dovrà condire anche il riso una volta cotto), origano, basilico e il riso. Si mescola bene il tutto e con il composto ottenuto si riempiono i pomodori. Una volta ricoperti i pomodori con i culetti precedentemente asportati, si dispongono in una teglia, si irrorano con un filo d'olio, si salano leggermente e si infornano a 160° per un tempo che varia dall'ora all'ora e mezza (conviene controllare se il riso è cotto perché un tempo di cottura assoluto non c'è). 

È una ricetta semplice ed essenziale che si realizza con gran facilità, l'unica cosa a cui bisogna fare attenzione, è che la parte liquida sia sempre molto più abbondante del riso (e nel caso non lo sia, aggiungere un po' d'acqua e passata di pomodori). Insomma, prima della cottura, all'interno dei pomodori deve esserci una sorta di acqua pazza in cui si aggirano, sparuti, i chicchi di riso.

Mangiateli tiepidi e poi fatemi sapere...