lunedì 29 agosto 2011

Lo zen e l'arte della preparazione delle marmellate


Dopo aver trascorso un devastante agosto in cui l'unica cosa che mi sono fatta mancare è l'invasione delle cavallette (ma dopotutto mancano ancora due giorni a settembre e tutto può succedere), ho deciso che per compensare c'era bisogno di un gesto catartico che allontanasse le influenze nefaste e mi procurasse un talismano per affrontare l'autunno senza il perenne timore di una catastrofe incombente. Che fare? Scartata la possibilità di mettermi in ginocchio sui ceci secchi, quella di camminare sui carboni ardenti e quella di fare (seppur momentaneamente) voto di castità, ho deciso di optare per qualcosa che fosse un po' più proficuo e meno punitivo (povera ingenua, se avessi saputo quanto mi sbagliavo!): la marmellata di bacche di rosa rugosa.


Tutto è cominciato quando, per sincerarmi che i miei genitori non stessero tentando di passare a miglior vita facendo, che so, parapendio senza paracadute, ho deciso di andarli a trovare a Roccaraso. In realtà già prima di partire avevo in mente le meravigliose piante di sambuco che crescono ai margini della pedonale, nella piana che separa Roccaraso da Rivisondoli, e una mezza, insanissima idea di coglierne le drupe per trasformarle in marmellata. La sorte però mi è stata per l'ennesima volta avversa perché, arrivata in loco, ho scoperto che le piante erano momentaneamente inservibili dato che i fiori erano ormai appassiti (ci avrei fatto una marmellata di arance e fiori di sambuco su modello bottega svedese dell'ikea) e le bacche ancora troppo acerbe. A quel punto avrei potuto (e forse dovuto) semplicemente desistere, ma poi che ne sarebbe stato del mio gesto catartico?


Testarda più che mai, mi sono ricordata delle decine di piante di rosa rugosa che crescono sul viale che porta a casa di mia zia e in breve la decisione è stata presa. Armata di forbici, guanti, cestino di vimini e mamma al seguito, ho proceduto alla raccolta ottenendo un bottino di circa un chilo di cinorrodi (mi do un tono, ma non sono altro che le bacche delle rose). Ah, se solo avessi saputo a cosa andavo incontro! Per carità, che fare le marmellate non fosse una cosa sbrigativa lo sapevo già. Si lava la frutta (nel mio caso le bacche),  la si sbuccia (le bacche no), si tolgono i nòccioli... appunto! Avete idea di quanti semi ci sono all'interno di ogni singola bacca? Beh, guardate, guardate...


Tirare via i semini e i peletti neri urticanti che se ingeriti avrebbero provocato spiacevolissimi effetti collaterali (per farvi capire quali, vi dico solo che il loro nome gergale è grattaculi), è stata un'impresa titanica che ha richiesto circa quattro ore di lavoro che però sarebbero state di sicuro ventiquattro, se non avessi avuto la brillantissima idea di servirmi, per scavare le bacche, di un cucchiaino per il sale che fa parte di un meraviglioso set di posate da picnic appartenuto al mio trisavolo. Piccolo, sottile e appuntito, mi ha praticamente salvato la vita (eccolo immortalato insieme al passaverdura di cui vi parlerò a breve).


Pulite le bacche, il più è fatto. 


Bisogna lavarle nuovamente, pesarle (le mie erano diventate 820gr) e metterle in una pentola dal fondo spesso insieme a un paio di bicchieri d'acqua. Dopo averle fatte bollire per una ventina di minuti, cioè fino a quando la buccia esterna avrà cominciato a staccarsi, si tolgono dal fuoco e si riducono in lucente purea con l'ausilio del passaverdura. Anche in questo caso - e in barba alla tecnologia - io avevo un utensile davvero niente male, comprato a maggio del 1994 da un rigattiere di Torino in occasione del mio primo pellegrinaggio al Salone del libro in un Lingotto non ancora del tutto ultimato. Trattasi del POTENTE MACINA LEGUMI RAPIDO BREVETTATO! (come da foto si può verificare)


Nonostante il gentile consorte abbia provato più volte a farmi desistere e a farmi gettare tutto nella spazzatura (compresi gli utensili da cucina d'antiquarito), il potente macina legumi ha svolto egregiamente il proprio ruolo producendo una purea di bacche che sembrava velluto rosso.



A questo punto la catarsi è quasi completa dato che il resto del cammino è tutto in discesa. Basta unire alla purea lo zucchero e qualche spezia a scelta, far cuocere rimestando per una mezz'oretta, invasare a caldo in barattoli precedentemente sterilizzati (basta bollirli un quarto d'ora e farli asciugare capovolti su un canovaccio pulito), sterilizzare nuovamente, e lasciare raffreddare i barattoli a testa in giù. 

Con buona pace di Pirsig (che non ho mai letto nonostante il titolo del post sia a lui ispirato) e di mio marito (che si arrovella da mesi cercando di mettere a punto il motore dell'honda four 400 sport che gli ho regalato per i suoi 40 anni), credo che preparare questa marmellata abbia richiesto molta più pazienza e autocontrollo di quanto ne richieda manutenere una motocicletta e dubito che mi lancerò nuovamente in questa avventura che, udite udite, mi ha vista - dopo due giorni di estenuante lavoro - produrre ben 6 barattolini da 125gr di marmellata di bacche di rosa rugosa.


Unica consolazione, la speranza che questa marmellata sia davvero la panacea contro tutti i mali visto l'altissimissimo contenuto di vitamina C (da 2200 a 7000 mg per 100 g di polpa,  mentre l’arancia ne contiene soltanto 50 mg per 100 g di polpa.), e che il mio inverno, lungi dall'essere ancora una volta quello del mio scontento, sia luminoso e pieno di belle sorprese.


Ricapitolando:
MARMELLATA DI BACCHE DI ROSA RUGOSA

Il procedimento credo sia abbastanza chiaro visto che ne ho parlato per tutto il post, perciò mi limiterò ad aggiungere le dosi.

820 g di bacche di rosa già pulite
350 g di zucchero semolato
150 g di zucchero di canna
1 cucchiaino di estratto di vaniglia
la buccia grattugiata di 1 limone
1 bel pizzico di lemon pepper (che secondo me dà alla marmellata una bella spinta in più)

Prima di assaggiarla, credevo che questa marmellata si sarebbe accompagnata egregiamente ai formaggi ma mi sbagliavo. La sua natura è irrimediabilmente quella di una romantica donna inglese e quindi è perfetta per l'ora del tè, magari spalmata su uno scone fragrante.

Non vedo l'ora che arrivi il freddo.

martedì 2 agosto 2011

Par condicio


Mio nonno era un uomo dalla simpatia travolgente e dall'intelligenza vivace ma era anche una delle persone più irrimediabilmente imbranate che io abbia mai conosciuto.

Per la verità non so se il suo scarsissimo senso pratico dipendesse da una sorta di predisposizione genetica o piuttosto dalla lunga convivenza con la nonna, inguaribile maschilista, che non gli aveva mai permesso di muovere un dito se non per vestirsi o svolgere la sua professione di ingegnere edile.

Sta di fatto che il nonno non ha mai saputo prepararsi neanche il caffè da solo e ogni volta che, pover'uomo, cercava di prendere un'iniziativa, o veniva stroncato ancor prima di cominciare oppure, in una sorta di profezia che si auto-determina, compiva imprese degne del mitico zio Podger che volendo piantare un chiodo nel muro per appenderci un quadro, finiva col demolire l'intera parete (chi ha letto "Tre uomini in barca (per non parlar del cane)" di Jerome K. Jerome sa bene a cosa mi riferisco).

Il nonno aveva una grande passione per il mare e non concepiva vacanze che non fossero in barca (ma gli esiti delle nostre crociere erano ben diversi da quelli descritti da J.K.J.). Più la famiglia cresceva e più, per accoglierci tutti, diventavano grandi le barche del nonno. Alla fine, quando ormai fra figli, generi, nuore, nipoti e accoliti vari, sembravamo il cast al completo di "Appuntamento sotto il letto", il nonno capì che le alternative erano due: comprare un traghetto oppure rinunciare all'alto mare e ripiegare sull'acquisto di una casa per l'estate. Il buonsenso - e le pressioni della nonna - fecero ricadere la scelta sulla seconda opzione.

La casa, che mio nonno si ostinava a collocare in campagna nonostante si trovasse sulla spiaggia, era in realtà una sorta di tenuta con ettari ed ettari di terreno e pian piano si trasformò in un luogo paradisiaco di cui il nonno era l'unico, insindacabile, creatore.

Prima fece progettare dei giardini incredibili, poi fece costruire una meravigliosa piscina a sfioro, poi ancora un campo da tennis e infine, sorprendendo tutti, decise di darsi all'agricoltura utilizzando tutto il terreno che restava per piantare alberi da frutto, ortaggi, legumi, insalate, erbe aromatiche e qualsiasi cosa fosse commestibile.

Irritando non poco la nonna, il nonno passava parte del pomeriggio a innaffiare, ispezionare l'orto e raccogliere pomodori, il tutto ovviamente con la consueta goffagine e un improbabile abbigliamento costituito da polo, bermuda, calzini lunghi, zoccoli e un cappellino floscio che gli riparava la chierica.

La nonna, sempre pungente, a quel punto gli cambiò soprannome e, da zio Podger, lo fece diventare, memore delle sue catastrofiche vacanze, Monsieur Hulot. Lui non se ne curava, anzi si divertiva a farla innervosire ancora di più proponendo di far dedicare tutta la famiglia alla produzione  industriale di conserve di pomodori, marmellate e melenzane sott'olio.

Naturalmente la produzione rimase strettamente casalinga e fu anche abbastanza saltuaria (nessuno osava mettere alla prova la poca pazienza della nonna), ma è solo grazie all'ostinazione del nonno se noi nipoti - purtroppo cresciuti a surgelati da mamme un po' oziose - abbiamo avuto la gioia immensa di conoscere il sapore indimenticabile di un frutto appena colto dall'albero.


ZUPPETTA DI SPOLLICHINI
Per 4 persone

2 kg di spollichini (fagioli cannellini freschi)
1/2 sedano bianco
350 g di pomodorini
2 spicchi d'aglio
sale, prezzemolo, olio EVO

Liberare gli spollichini dal baccello, lavarli e metterli a bollire in acqua non troppo abbondante (diciamo che deve superare di tre dita i fagioli). A parte, preparare una salsetta con l'olio, l'aglio, il sedano e i pomodori a pezzetti e farla tirare ben bene. Quando i fagioli avranno cotto un'ora, aggiungervi la salsa e lasciar cuocere ancora una mezz'oretta. Aggiustare di sale, unire il prezzemolo tritato e servire con dei dadini di pane che avrete saltato in una padella con poco olio oppure semplicemente tostato in forno.


Semplice, semplicissima e semplicemente buona.