mercoledì 27 luglio 2011

Cronaca di un disastro evitato


A Carla e Daniela (rigorosamente in ordine alfabetico).

Domenica era il compleanno del consorte solo da un paio d'anni rassegnato ai festeggiamenti. Consultato sui suoi desideri, dopo lunga meditazione, ha deciso che gli sarebbe piaciuto invitare qualche amico a cena il sabato sera in modo da poter brindare a mezzanotte. Fin qui tutto bene perché,  a differenza della festa oceanica dell'anno scorso che mi vide ai fornelli per tre weekend di fila per preparare finger food per settanta persone (che poi ballarono scatenate fino alle 3 del mattino mettendo a serio rischio la stabilità dei nostri pavimenti), una cena si gestisce facilmente. Sollevata, felice e rincuorata dal fatto di poter, per una volta, festeggiare il suo compleanno con il conforto di un surreale clima settembrino, propongo un menu divertente: pizze fritte per tutti! Il consorte mi appoggia subito perché le pizze fritte, pur nella loro semplicità, sono una cosa che non si mangia poi così spesso. Sia mia madre che mio suocero sono due maestri delle pizze fritte. Mia madre perché impasta meravigliosamente bene, mio suocero perché la frittura per lui non ha segreti; eppure bisogna sempre pregarli neanche queste benedette pizze fritte fossero lingue di pappagallo. Invece stavolta io e il consorte decidiamo di abbondare e io mi lancio all'impasto di 2 chili di farina che, considerato che a cena saremo una decina di persone, dovrebbero garantire un discreto numero di pizze procapite. Sono più o meno a 3/4 dell'operazione quando succede il dramma: mi viene il colpo della strega.

Al mio urlo di dolore, mio marito impallidisce e io, guardandolo negli occhi, so immediatamente a cosa sta pensando. Ricorda, con terrore, il calvario vissuto quando ebbe a che fare la prima volta con il mio mitologico colpo della strega. Vivevamo nella nostra prima casa - una scatola da scarpe arditamente organizzata su due livelli - alla quale si arrivava arrampicandosi per 5 rampe di scale con l'alzata più alta che io abbia mai visto (cosa comodissima considerato che, oltre a tutto il resto, abbiamo tre cani che devono uscire tre volte al giorno) ma con il pregio di avere una vista meravigliosa su Capri. Mi blocco al piano di sopra mentre, in un impulso insano di casalinghitudine, sto spazzando il pavimento. Un piccolo tac della colonna vertebrale e rimango lì, praticamente paralizzata. Provo a raggiungere il telefono per avvisare il consorte (all'epoca solo precario convivente) e alla fine ci riesco, ma sono passate due ore e mio marito non è neanche raggiungibile. Nel frattempo mi scappa la pipì e il bagno è al piano di sotto e se ci ho messo due ore per fare il mezzo metro che mi separa dal telefono, quanto ci metterò per farne sette o otto compresi dodici scalini e arrivare al bagno? Capisco subito che devo desistere e penso che al più me la farò sotto, ma poi realizzo che il pavimento del soppalco è fatto di doghe semplicemente posate sulle travi e se me la faccio sotto la faccio letteralmente di sotto, cioè in cucina, più o meno sul tavolo già apparecchiato per la cena. La situazione è disperata e mentre penso di mettermi carponi e provare a strisciare sul pavimento pur di raggiungere il bagno, arriva il consorte che prima - ne sono sicura - pensa di lasciarmi finché è ancora in tempo per farlo, poi s'impietosisce e mi soccorre. Quella volta sono rimasta a letto quattro giorni, quattro lunghissimi giorni in cui mio marito ha imparato a fare le iniezioni (vai facile, che col sederone che mi ritrovo figurati se mi fai male!), a sistemare il letto con me dentro facendomi rotolare prima da un lato e poi dall'altro, a cucinare qualcosa di diverso dalla pasta con il tonno, a scortarmi con estrema cautela fino al bagno e a fare attenzione che il cellulare non fosse mai fuori campo.

La sola ipotesi che la situazione si ripetesse proprio in concomitanza del suo compleanno, evidentemente ha terrorizzato la mia metà che, quasi fosse un mantra,  ha cominciato a ripetermi "nobenenodimmidinotipregodimmidino!". Era prontissimo a rinunciare a festa, pizze e invitati pur di scongiurare il rischio che mi paralizzassi del tutto costringendolo a farmi da infermiere. Mi ha fatto una tenerezza tale che l'amore ha prevalso sul dolore e ho deciso di correre ai ripari. Immobile, ma col piglio di un generale (non a caso mia madre mi chiama Patton) e la convinzione che the show must go on, ho rapidamente riorganizzato la serata dando istruzioni al festeggiato su come finire di impastare e porzionare l'impasto per metterlo a lievitare quindi gli ho chiesto di reclutare due mie amiche che, un paio d'ore prima della cena, venissero a dargli una mano a imbottire e friggere le pizze seguendo le mie direttive.  Con il loro arrivo, la casa è entrata di colpo in un clima natalizio, quello in cui tutti danno una mano, sono gentili, si divertono... insomma, siamo passati da "Scene da un matrimonio" a "La vita è meravigliosa" e alla fine tutto è andato come mio marito avrebbe voluto che andasse, anzi anche meglio vista l'avvenenza e la simpatia delle soccorritrici.. È solo grazie a loro che questo post, sia pure con un increscioso ritardo dovuto a colpo della strega e cervicale, può essere finalmente pubblicato ed è a loro che, a ragion veduta, è quindi dedicato.


CALZONCINI E PEZZENTELLE
Per 60 pizze

IMPASTO
2 kg di farina 00
1 litro di latte
150 ml di olio EVO
3 cubetti di lievito di birra
acqua tiepida q.b.
sale

RIPIENO
1 kg di ricotta romana
600 g fiordilatte
100 g parmigiano grattugiato
250 g salame napoletano a cubetti
pepe

SALSA
1 kg pomodori San Marzano
Basilico come se piovesse
olio EVO
sale e zucchero (la punta di un cucchiaino)

Olio di arachidi per la frittura

Impastare la farina con il latte tiepido, l'olio, il lievito sciolto in un dito d'acqua tiepida e il sale (avendo cura di non farlo entrare direttamente a contatto con il lievito). Aggiungere tanta acqua quanta ne serve per avere una massa compatta ma morbida e lavorare a lungo, fino a quando non si ottiene un impasto omogeneo ed elastico. Porzionare in palline ottenute strozzando l'impasto fra il pollice e l'indice della mano destra (o sinistra se siete mancini ;-)), disporle su un vassoio coperto da un canovaccio, spolverarle di farina, ricoprirle con un altro canovaccio e lasciarle lievitare per un paio d'ore.

Preparare il ripieno dei calzoncini passando al setaccio la ricotta (io me la sbrigo con lo schiacciapatate) e mescolandola al parmigiano grattugiato, al fiordilatte tagliato a dadini (meglio tagliarlo a dadini il giorno prima e conservarlo in frigo di modo che in cottura non perda troppo latte) e al salame napoletano. Condire son abbondante pepe nero macinato al momento.

Preparare la salsa un po' come vi pare. Mia mamma fa quella all'olio usando solo il concentrato di pomodoro, io preferisco la salsa al filetto di pomodoro usando i San Marzano ma davvero non ci sono regole, si possono addirittura tagliare a pezzetti dei pomodori maturi e non cuocerli affatto. L'importante è che la salsa sia fresca e profumata, insomma eviterei il ragù.

Quando l'impasto sarà lievitato, spianare le palline allargandole con le mani e farcirne la metà con una cucchiaiata di ripieno per poi ripiegare l'impasto su se stesso e siggillare bene i bordi formando così i calzoncini. Friggere sia i calzoncini che le pizze semplicemente spianate e non farcite in olio ben caldo finché non saranno dorate e condire le pezzentelle (cioè le pizze senza imbottitura) con una cucchiaiata di salsa, una spolverata di parmigiano e una foglia di basilico fresco.


Di norma non ci sono superstiti.

mercoledì 20 luglio 2011

Ho un sassolino nella scarpa...

Attenzione: post ad alto tasso polemico dedicato ai cooking show addicted. Siete stati avvisati...


Dopo aver passato un'intera giornata a discutere con i miei colleghi del modo in cui devono comportarsi i personaggi della soap che scriviamo, quasi fosse in gioco il destino dell'umanità, quando torno a casa ho bisogno di una mezz'oretta di decompressione. In quella mezz'ora le uniche cose che tollero sono svenire sul divano, tenere la bocca chiusa e sollazzarmi con la tv, evitando con cura tutto quello che è fiction (dopo essermene occupata per nove ore proprio non ne posso più) e informazione (che certo non è rilassante anzi, va di lusso se si limita a procurare un travaso di bile). Mio marito in genere protesta: "Ancora 'sto Santin? E smettila ché tanto hai il diabete e i dolci non li puoi mangiare!", "Ma non l'hai già vista un milione di volte Laura Ravaioli che prepara i wagashi? Su, cambia canale!". Io, che sono nella mia mezz'ora di silenzio zen, ovviamente non rispondo limitandomi a occultare il telecomando per evitare che lui, in un incauto tentativo di rappresaglia, cambi programma per guardare lo sport. Di regola funziona così ma, come tutti sanno, ogni regola ha la sua eccezione e questa in particolare ne ha ben due.


La prima si chiama Nigella Lawson, da mio marito rinominata "Nigellona mia". Fortunatamente io non sono una donna gelosa, al contrario sono solidale e comprensiva perché riconosco che Nigella è un gran bel vedere, ma mio marito al solo sentirla nominare proprio si sdilinquisce. Basta che la voce di Nigella dalla tv si diffonda in casa, perché mio marito si fiondi sul divano accanto a me e vada in brodo di giuggiole. Effettivamente non si può non adorare Nigella: è carnale (mia nonna direbbe 'na femmina azzeccosa), simpatica, burrosa, golosa, materna, semplice, dissacrante e per lei il cibo è davvero qualcosa di sensuale (non a caso è la regina del porn food). La cucina di Nigella non è mai pretenziosa (anche se spesso è davvero ad alto tasso glicemico), non è pensata per fare bella figura ma per prendere per la gola gli ospiti, che infatti a casa sua non mancano mai,  e mi gioco qualsiasi cosa che mio marito pagherebbe oro per far parte degli invitati. A volte il gentile consorte, vedendomi in cucina a spignattare, mi si avvicina con fare cospiratorio e mi chiede in un sussurro: "Bene, ja' e fammi un po' l'imitazione di Nigellona mia...". Io non me lo faccio dire due volte e mi calo nel ruolo con perfetto accento british e voce flautata mentre penso, grata, che sono proprio fortunata ad avere un marito che sa accontentarsi di così poco.


La seconda eccezione è il famoso sassolino nella scarpa citato nel titolo del post ovvero: Csaba Dalla Zorza. Csaba è in tutto e per tutto l'anti Nigella e infatti mio marito la detesta. La signora, che indubbiamente ha anche molti meriti, dall'editoria (è la fondatrice della Luxury Books) è approdata in tv cominciando, qualche anno fa, con un programma su Class Life che si chiamava In cucina con Csaba per poi essere promossa in prima serata su Alice con l'esilarante - naturalmente a parer di mio marito - Il mondo di Csaba. Seguire il programma con mio marito, che lo usa proprio come un punching ball su cui sfogare la rabbia, è estremamente divertente, un po' perché vedere il proprio uomo che critica apertamente una donna che non sia sua moglie è molto rilassante, un po' perché mio marito si accanisce più contro la povera e ignara Csaba  che contro le avversarie della Juve che sono in vantaggio sulla benemerita.

Il fatto è che Csaba appartiene alla categoria delle donne con la puzza sotto il naso che ti guardano dall'alto in basso senza in realtà nessun motivo plausibile, di quelle che non sudano, non si spettinano e non hanno mai gli abiti sgualciti per cui constatare quanto, meschinazza, sia negata, è una vera goduria. Per capirci, Csaba si è diplomata chef alla prestigiosa scuola di cucina Le Cordon Bleu di Parigi, ma se prepara la glassa per decorare i biscotti, sbaglia la consistenza e le cola tutto sul bancone della cucina. Si professa grande esperta di galateo, apparecchiatura della tavola e decorazioni floreali, ma poi cerca ostinatamente di infilare dei fragili ranuncoli nell'oasi da fioristi non bagnata, ottenendo solo di romperne gli steli. Inoltre la signora ha la sgradevole abitudine di buttare lì durante il discorso, come se fosse del tutto casuale, piccoli riferimenti che facciano capire quanto sia perbene e high society, cosa che una vera lady non farebbe mai.

Ricordo una volta che, mentre preparava un filetto di tonno completamente rivestito di foglie d'alloro, raccontava che era la sua ricetta del cuore, quella che aveva preparato la sera in cui aveva conosciuto il futuro marito e che poi aveva deciso di proporre ai propri ospiti anche al ricevimento di nozze, convincendo Gualtiero Marchesi a cucinarla per lei. Insomma, fra le righe, quello che in realtà stava dicendo era: badate, sono così upper class che al mio matrimonio lo chef era Marchesi, e così autorevole da fargli cucinare le mie ricette. Ma andiamo! Csaba inoltre ha lo spiacevole, irritantissimo difetto di far schioccare la lingua contro i denti mentre parla, producendo un suono simile a un piccolo risucchio  ripugnante. Evidentemente non se ne accorge, ma è possibile che nessuno glielo faccia notare? 'Sta trasmissione ce l'ha un regista, un segretario di edizione, un produttore, insomma qualcuno che si lamenti? Possibile che ciò che fa Csaba vada sempre bene a tutti?

Quello a cui proprio non va bene per niente è invece mio marito e la cosa che in assoluto più gli dà sui nervi dell'universo Csaba, è il fatto che lei, in quanto parigina d'adozione, infarcisca i propri discorsi con frasi in fracese pronunciate ogni due per tre. Visto che mio marito, al contrario, per metà francese lo è davvero dato che sua madre è nata proprio a Parigi, sentire Csaba che profana la sua madrelingua sbagliando spesso e volentieri la pronuncia, proprio lo manda fuori dai gangheri.

Mentre il gentile consorte si accanisce, io taccio (è sempre la mia mezz'ora di silenzio zen) e me la godo, perché è una carezza per l'anima scoprire quanto siamo in armonia, quanto le cose che danno fastidio a me diano fastidio anche a lui.

Comunque, per concludere con la povera Csaba a cui, immagino, fischieranno le orecchie ormai da ore, l'apice dell'astio contro di lei, mio marito lo raggiunse durante la puntata che parlava del picnic in cui la derelitta mise a segno una tripletta che perfino Platini, ai tempi d'oro, avrebbe potuto solo sognare. Csaba aveva preparato dei club sandwich che gridavano vendetta, con il pane poco tostato e il bacon che, lungi dall'essere croccante, era bensì traslucido e molliccio. Per di più, in un afflato creativo, aveva deciso di piazzarlo sulla sommità del panino, invece che al suo interno, avvolto come fosse una gala intorno allo stecchino che teneva insieme il sandwich. La nostra eroina aveva poi scelto per il suo picnic un'elegantissima cesta termica ma l'aveva riempita talmente tanto con stoviglie che non richiedevano affatto una temperatura controllata, da non riuscire più a chiuderla (ma lei provava a giustificarsi dicendo che non aveva tutta questa importanza. E allora perché ci tenevi tanto che fosse termica, 'sta cesta?) e infine, provando a sollevarla per portarla in giardino, aveva esclamato con una risatina "humm, c'est lourd!". Per mio marito evidentemente fu davvero troppo. Si alzò dal divano, attraversò la stanza e spense il televisore direttamente dall'apparecchio - dato che io avevo in ostaggio il telecomando - per poi guardarmi con l'aria risentita di chi ha subìto un torto imperdonabile, e andarsene di là.

Quella fu l'ultima volta che guardammo il mondo di Csaba. 


CLUB SANDWICH COME DIO COMANDA
Per 1 persona (nel mio caso, marito da consolare)

3 fette di pane in cassetta private della scorza
4 fette di bacon tagliate un po' spesse
4 fette di tacchino arrosto un po' spesse
1 pomodoro di sorrento
2 foglie di lattuga
sale, pepe, maionese qb
2 stecchini lunghi

Tostare le fette di pane da ambo i lati, rosolare in padella il bacon fino a renderlo ben croccante, pulire la padella e arrostire leggermente anche il tacchino, infine tagliare a fette il pomodoro. Spalmare un cucchiaio da dessert di maionese sulla prima fetta di pane, sistemarvi sopra la foglia di lattuga quindi una bella fetta di pomodoro (o quante ne servono a coprire l'intera superficie del panino) che poi salerete e peperete. Continuare con due fette di bacon e due fette di tacchino che ancora una volta peperete, e ricoprire il tutto con una seconda fetta di pane precedentemente spalmata di maionese. A questo punto ricominciare spalmando il coperchio del panino appena ottenuto con un cucchiaio da dessert di maionese e poi continuare secondo lo schema precedentemente illustrato. Una volta completato il sandwich, ancorarlo con due stecchini posti lungo i lati e poi tagliarlo lungo la diagonale con un coltello grande e ben affilato.


E che Csaba sia con voi!

sabato 16 luglio 2011

Adesso pasta!


Consapevole che quello che sto per dire potrà essere usato contro di me, faccio una confessione: a casa mia la pasta non si mangia quasi mai. Sarà che quando torno la sera non ho voglia di star lì a tirare fuori duemila caccavelle (una per cuocere la pasta, una per il sugo, il colapasta...), sarà che ho un marito maniaco della forma fisica e tanto carente in scienze dell'alimentazione quanto testardo (ancora fatico a fargli capire che un piatto di pasta è più sano di, che so, salsicce e purè di patate), oppure sarà - anzi, è - che io sono stata traviata dal Gattopardo.

Avete presente quel voluttuoso timballo di maccheroni che viene servito per pranzo e di cui il principe di Salina taglia la prima fetta? Ecco, per me la pasta è quella roba lì. Conditissima, cremosa, imbottita, stufata... insomma, una delizia da pranzo domenicale in pieno inverno e - se si vuole stare al passo con i canoni estetici della cucina attuale - decisamente retrò. Comunque siccome fuori ci sono più di trenta gradi e mio marito è già in ansia per la prova costume, la pasta come piace a me la rimandiamo a Natale e per adesso, ma giusto perché ogni tanto riesco ad avere la meglio sul consorte, ci accontentiamo di quella che ho preparato l'altro giorno in un moto d'insofferenza davanti alla proposta dell'ennesima insalatina fresca fresca.

 
PASTA INTEGRALE CON RUCOLA, DATTERINI E NOCI
Per 4 persone

360 g di casarecce integrali Garofalo
250 g pomodori datterini
50 g rucola
80 g parmigiano in scaglie
100 g noci sgusciate
sale, pepe, olio EVO

Questa è la classica pasta poca spesa (in termini di tempo) molta resa, perché si prepara in un attimo ma è estremamente gradevole. Cuocere la pasta in abbondante acqua salata e nel frattempo tagliare in quattro spicchi i pomodorini e sistemarli in una ciotola capiente che poi userete anche per servire la pasta. Condire i datterini con sale, pepe e olio a sufficienza, quindi aggiungere le noci tritate grossolanamente e il parmigiano a scaglie. Quando mancheranno una trentina di secondi al termine della cottura della pasta, gettare nella pentola la rucola spezzettata. Aggiungere un paio di cucchiai di acqua di cottura ai pomodorini quindi scolare il tutto e mantecarlo nella ciotola fin quando la rucola non sarà ben distribuita. Mangiare subito, prima che si raffreddi.


mercoledì 13 luglio 2011

Sophisticated Lady


Non credo che mio marito si offenda se dico che il grande amore della mia vita, quello eterno, dirompente e irrimediabile, è mia nonna Elisa. La nostra è una passione nata più o meno quando avevo un anno e  un po', dato che lei prima aveva tentato in tutti i modi di ripudiarmi. Nonostante fossi la prima nipote,  non si lasciò intenerire e non lesinò i suoi classici commenti sferzanti del tipo: "La volete chiamare Benedetta? Peggio per voi, io la chiamerò Nicola!", "È femmina sì, ma è una scimmia", "Con tanta bella gente in famiglia, doveva proprio assomigliare a Kikì?" (La zia di mio padre, esteticamente discutibile ma ironica, acuta e creativa. Una delle prime donne a laurearsi in architettura a Napoli. In realtà mi sono sempre augurata di somigliarle moltissimo!).

Mi ci vollero quindici mesi per espugnare il suo cuore ma quando, durante la solita telefonata della mattina, cominciai a strappare il telefono di mano a mia mamma per cantare a nonna Elisa "siam te piccoli porcellimmm", la conquistai definitivamente. Nicola diventò Nikkina, poi Suppina (con punte di delirio e in versione filastrocca: supilacchi mucchi mu la più bambola sei tu) e infine Bennussi (Bennussina in versione tenera), che era il massimo che potesse tollerare come assonanza a Benedetta. 

Come tutte le nonne mitiche, la mia aveva un modo tutto particolare di intrattenermi. Le favole non le piacevano e si rifiutava categoricamente di raccontarmele ma, al contrario, aveva una passione smodata per Omero, Dante e Ariosto. Ricordo lunghissimi pomeriggi invernali trascorsi accoccolata accanto alla nonna sul divano, mentre lei mi raccontava le avventure di Ulisse o mi parlava della cruenta guerra di Troia  o  ancora della fuga di Angelica fra i boschi. Il tutto però fino alle sei e mezza del pomeriggio perché a quell'ora la nonna si andava a "ingrattinare" per andare al circolo. Anche allora le tenevo compagnia guardandola incantata mentre sceglieva l'abito da sera che avrebbe indossato, mentre si pettinava, cotonandosi i capelli fino a farli diventare una scultura astratta, mentre si truccava e mentre metteva i gioielli. Se il vestito aveva la lampo sulla schiena e lei mi chiedeva di tirargliela su, andavo addirittura in estasi pensando che la nonna aveva bisogno di me, che le ero necessaria.

La nonna cucinava la mattina, dalle 10 e mezza - orario in cui sorgeva dal letto dopo aver fatto le ore piccole giocando a carte - alle 11 e mezza, rigorosamente in vestaglia; poi si lavava, si vestiva e usciva per la consueta passeggiata a via Dei Mille. Se non c'era scuola, alle dieci e mezza scendevo di corsa le sei rampe di scale che separavano casa dei miei da casa sua, e andavo a cucinare con lei.  Benché  in occasione delle feste comandate casa della nonna fosse teatro di cucinate epocali che coinvolgevano tutte le donne della famiglia, a lei è sempre piaciuto mangiare più che cucinare, e quindi le preparazioni quotidiane erano semplici e poco impegnative - perché passare tutta la mattinata in cucina era una cosa che proprio non tollerava - e in pratica perfette per essere condivise con una bimba di pochi anni. 

La prima cosa che la nonna mi insegnò a cucinare furono le braciolette sul pane, che su di me ormai hanno lo stesso effetto della madeleine di Proust, e perciò mi sembra che questa ricetta - emblema del mio amore sia per nonna Elisa che per la cucina - non possa non avere un posto d'onore su questo blog.


BRACIOLETTE SUL PANE
per 6 persone

300 g polpa di manzo macinata
300 g polpa di maiale macinata
1 uovo
100 g parmigiano grattugiato
la mollica di uno sfilatino bagnata e strizzata
la buccia grattugiata di un limone
erba cipollina, sale, pepe
pane integrale
olio EVO

Non credo sia il caso di dilungarsi sulla preparazione visto che si tratta di banalissime polpette che io aromatizzo con l'erba cipollina e il limone, ma che voi potete aromatizzare a vostro piacimento. Sono ammesse tutte le variazioni sul tema: polpette di solo manzo, polpette di manzo, maiale e pollo, polpette di vitello... con uva passa e pinoli, con aglio e prezzemolo, con la salvia e i capperi... Il vero prodigio delle braciolette sul pane, quello che le rende indimenticabili, è appunto il pane.

Si procede così: dopo aver formato le polpette, si taglia a fette il pane integrale, lo si priva della scorza, e lo si riduce a una dimensione appena superiore a quella della polpetta. Dopodiché si poggia ogni "bracioletta" (perché la nonna le chiamasse così non l'ho mai capito) su un "lettino" di pane (altra definizione partorita dalla nonna).  Sistemare il tutto sulla placca del forno e irrorare ciascuna bracioletta con un filo d'olio che coli uniformemente anche sul crostino, quindi infornare per una cinquantina di minuti a 150° in forno NON preriscaldato.

Quello che poi accade in forno, per me rimane una magia da mago Silvan perché, cuocendo, la bracioletta si incolla letteralmente al suo lettino, ma mentre lei rimane morbida e succulenta, lui diventa deliziosamente croccante. 

Le braciolette si mangiano con le dita e ogni boccone è un morso di paradiso.


In quanto alla mia nonna, è ancora qui con me. Una splendida novantaquattrenne che non rinuncia a indossare twin-set di cachemire ravvivati dall'immancabile doppio filo di perle. La nonna non cucina più da anni ma continua ad amare la buona cucina, la cioccolata, e il whisky scozzese. 
Che donna sofisticata!

lunedì 11 luglio 2011

BREVE COMUNICAZIONE DI SERVIZIO

Nel pieno della mia pausa pranzo in ufficio, terminata la gavetta, ho controllato le statistiche del blog: 1.007 visitatori in poco meno di tre settimane! Non avrei mai osato sperare tanto. Grazie a tutti, davvero.

sabato 9 luglio 2011

Colpito!


Sebbene per molti anni abbia trascorso gran parte del mio tempo libero nelle sale cinematografiche, non è lì che è nato il mio amore per il cinema bensì nel soggiorno di casa di mia mamma, durante le calde estati della mia infanzia.

Appartengo a una generazione che la televisione  l'ha vista per anni in bianco e nero,  alzandosi dal divano per spostare la levetta dal primo al secondo programma (si chiamavano proprio così!), che la sera si addormentava dopo carosello e che aspettava con ansia l'inizio delle trasmissioni con quella sigla ipnotica tratta dal Guglielmo Tell di Rossini (ma allora chi l'avrebbe sospettato...) per poter finalmente vedere la TV dei ragazzi. La mattina la Rai teneva su solo il monoscopio, ma andava bene così. Dopotutto chi l'avrebbe  vista la tele a quell'ora? Di mattina i bambini andavano a scuola, i papà a lavorare e le mamme sbrigavano le faccende di casa, in un mondo pseudo perfetto che oggi (ma forse è sempre stato così) esiste solo nelle illustrazioni del Corvo Parlante sulla Settimana Enigmistica.  Funzionava in questo modo tutto l'anno, inesorabilmente, tranne che d'estate, durante la Fiera della casa. Il perché di quell'anomalia l'ho capito solo anni dopo, quando ho scoperto che alla Fiera c'era un padiglione dedicato alla vendita dei televisori che, per essere valorizzati  agli occhi dei compratori, dovevano trasmettere qualcosa di un po' più intrigante del monoscopio, ma all'epoca non mi interessavano le spiegazioni. Quello che mi interessava era poter accendere la tv alle dieci del mattino e tuffarmi in un mondo meraviglioso e sempre diverso.

La programmazione era molto varia, quasi schizofrenica, perché si passava dai film di Totò a quelli con Dean Martin e Jerry Lewis senza disdegnare inquietanti incursioni nei B-movie di fantascienza americani.  Per capirci, io ho visto "L'invasione degli ultracorpi", "Ultimatum alla terra" e "La cosa da un altro mondo", molto prima dei film della Disney (poi ci si chiede perché io sia strana...). Ma in assoluto il film che più amavo, quello che attendevo trepidante anno dopo anno (eh sì, purtroppo i film erano più o meno sempre gli stessi), era il meraviglioso "Non sparare, baciami", ribatezzato per praticità dalla sottoscritta "Calamity Jane" (che poi era il titolo originale, ma io ovviamente all'epoca non lo sapevo).

Il film, che ha per protagonista l'inossidabile Doris Day, è una strana combinazione di western, musical e biopic, visto che Calamity Jane è esistita davvero nell'America della conquista del west, e ha fama di essere stata il primo pistolero donna. Perché quel film mi piacesse tanto, benché fosse indiscutibilmente un filmetto, è facile da capire.  Mi piaceva l'indole ribelle e da maschiaccio di Calamity, il fatto che tenesse testa a tutti, la tenacia con cui si opponeva alle regole  rifiutando di omologarsi e il fatto che alla fine riuscisse comunque a ottenere tutto ciò che voleva, compreso l'amore di un figaccio pazzesco, pistolero come lei. Come modello di donna  a cui somigliare da grande, molto molto meglio delle Barbie con cui giocavano le mie amiche.

Il motivo per cui mi è tornata in mente Calamity Jane proprio mentre preparavo le crocchette di cui segue ricetta, è che per cucinarle ci vuole soprattutto occhio (lo stesso che serve per prendere la mira e colpire il bersaglio) dato che dosi precise non ne ho né, d'altra parte,  ho mai sentito l'esigenza di averne. Perciò, se dovesse venirvi voglia di prepararle, tutto quello che dovete fare è  prestare un po' di attenzione in più a proporzioni e consistenze, e augurarvi di far centro al primo tentativo (ma vi assicuro che non è affatto difficile).


CROCCHETTE DI ZUCCHINE E CAROTE

Carote
Zucchine (devono essere più o meno il doppio delle carote)
Uova
Pangrattato integrale
Parmigiano
Pecorino romano
Sele, Pepe, Olio EVO

Funziona così: lavate e sbucciate le carote, lavate le zucchine. Armatevi di una grattugia da professionisti (suggerisco una microplane) e santa pazienza, e grattugiate sia le une che le altre in una ciotola capiente. Unite l'uovo o le uova (e qui comincia il discorso dell'occhio), parmigiano e pecorino grattugiati in uguale proporzione, sale, pepe e tanto pangrattato (io preferisco quello un po' grosso)  quanto basta per ottenere un composto abbastanza omogeneo ma ancora molto, molto umido. A questo punto bisogna essere rapidi (perché gli ortaggi, una volta salati, rilasciano un bel po' d'acqua di vegetazione alterando la consistenza del composto) e formare delle polpette di media grandezza che poi poserete in altro pangrattato e schiaccerete fino a formare delle specie di frittelle alte un dito. Voltatele in modo da impanarle anche dall'altro lato e sistematele sulla leccarda del forno, condendole con un filo d'olio. Si cuociono a 180° per una quarantina di minuti, in forno rigorosamente NON preriscaldato, e si mangiano tiepide.


Fatemi sapere...

martedì 5 luglio 2011

Gavetta


Nonostante avessi studiato sceneggiatura, entrare nel favoloso mondo della soap opera fu un po' disorientante. Significò gettare a mare molte delle mie conoscenze e predispormi a imparare tutto daccapo, a cominciare dalla terminologia. Fino a poco tempo prima che io cominciassi a lavorare, l'head-writer era un australiano e quindi il brainstorming si faceva in inglese. Tutti - anche quelli che con "the pen is on the table" avevano esaurito la conoscenza dell'inglese e quindi erano costretti a millantare - si dovevano adattare e, pian piano, finirono col creare una lingua tutta loro, fatta di acronimi e italianizzazioni, che a me risultava incomprensibile quanto il sanscrito.

Non era strano - e purtroppo ancora non lo è -  sentire frasi di questo tipo: "Picappa la scena precedente, bildappa i personaggi, crea un po' di URST, rafforza la tag e chiudi con un LOTS". Un delirio e, siccome nessuno mi spiegava niente e io niente potevo chiedere per non fare la figura dell'incompetente, per i primi tempi dovetti necessariamente andare a tentoni. Non so cos'avrei dato, in quelle prime settimane, per trovare anch'io una stele di Rosetta che mi permettesse di comprendere rapidamente quella lingua sconosciuta!  Dovetti mettere su un'operazione di intelligence lanciando occhiate furtive agli appunti dei miei colleghi per carpire qualche indizio prezioso e addirittura gongolavo (altro termine usato, credo, solo nella soap) quando riuscivo a tradurre in italiano corrente una parola nuova.

Sicuramente la parte più dura della mia gavetta è stata questa e oggi che sono passati più di dieci anni e ho scritto circa 9.500 pagine fra trattamenti e sceneggiature - che, tradotto, significa che ho intrattenuto i telespettatori italiani per qualcosa come 400 serate - mi prendo la mia piccola rivincita usando impunemente il gergo soap operesco ogni qualvolta compare all'orizzonte un nuovo stagista (salvo pentirmi e, nella pausa pranzo, tradurgli tutto ciò che ho detto in precedenza).

Nonostante la mia gavetta lavorativa sia terminata da tempo, la gavetta continuo a prepararmela tutti i giorni dato che, per un problema di cui forse fra qualche tempo - quando saremo più intimi - arriverò a parlarvi, non metto piede nella mensa aziendale e consumo i miei pasti nella quasi solitudine dell'ufficio. Si tratta di pasti semplici e leggeri perché è altamente sconsigliabile incorrere in un increscioso papagno post prandium nel bel mezzo di un brainstorming, ma spesso ricevono un bel po' di sguardi invidiosi dai miei colleghi che si ostinano, tenacemente, a massacrarsi lo stomaco in mensa.

NON LA SOLITA INSALATA (DI RISO)
per 4 persone

300 g di riso parboiled
1 cipolla
3 zucchine
200 g di feta
100 g di prosciutto cotto in un'unica fetta
2 cucchiai di cumino in semi
olio EVO
sale e pepe

Per prima cosa tostare il cumino in una padella calda e metterlo da parte. Poi tritare la cipolla, farla appassire in 3 cucchiai d'olio e, quando sarà diventata traslucida, aggiungere le zucchine, tagliate prima in quattro quarti e poi in fettine di massimo un paio di millimetri di spessore (l'ideale è usare la mandolina). Intanto mettere a bollire l'acqua e lessare il riso che, una volta cotto, andrà sciacquato e raffreddato.  Quando anche le zucchine saranno cotte (non troppo, è bene che rimangano un po' croccanti), tagliare la feta e il prosciutto a dadini e aggiungere il tutto, insieme al cumino tostato, al riso. Aggiustare di sale, pepare, mescolare bene et voilà, il pranzo è pronto (e se preparate questa insalata la sera prima, lei sarà più buona e voi meno stressati).


Pensavate vi lasciassi così? No, non ne avrei avuto il cuore... il sapere va sempre condiviso!

PICCOLO VADEMECUM PER ASPIRANTI SOAP OPERAI

  • Cittone: (da to cheat) trarre in inganno lo spettatore in modo eclatante e poco elegante solo per ottenere un cliff.
  • Cliff: abbraviazione di Cliffhanger. L'ultima scena dell'episodio, la più intensa, che fornisce un gancio narrativo fortissimo per l'episodio successivo. Il Friday Cliff invece conclude l'ultima puntata della settimana e deve essere ancora più intenso dei quattro precedenti perché deve tenere lo spettatore sulle spine fino al lunedì successivo. Da qui in poi è tutto un crescendo: c'è il Summer Cliff, il Cliff di serie...
  • Bonk: scopata, ma dirlo in americano gergale fa molto più fine...
  • URST: Unresolved Sexual Tension. Per capirlo ci ho messo mesi...
  • LOTS: Look Over The Shoulder. Avete presente quando uno ti dice che ti ama, ti abbraccia e poi, mentre tu non lo vedi, digrigna i denti? Bene, quello.
  • Picappare, Bildappare, Setappare: rispettivamente "riprendere una linea narrativa sospesa nell'episodio precedente", "aumentare la fiducia di un personaggio rispetto a una determinata situazione", "gettare le basi per una situazione o una linea narrativa che verrà sviluppata di lì a qualche tempo".
  • Un piccolo hint: suggeriamo, ma non troppo.
  • N/S: No Speaking ovvero i figuranti.
  • P/S: Poco Speaking ovvero le comparse che dicono solo un paio di battute (fortunatamente rimasto in voga per poco tempo).
  • RE: Regard. Usato in frasi tipo: Tizio e Caio RE Sempronio, ovvero: Tizio e Caio parlano di Sempronio.
  • CLUNKY: In una traduzione molto arbitraria, usato generalmente per indicare situazioni genericamente e involontariamente un po' ridicole.
  • V/O, V/F: estremamente disorientante perché V/O può significare tanto Voice/Off (cioè  la voce di un personaggio che non viene inquadrato perché, per esempio, è dietro una porta) che Voice/Over (cioé la voce mentale di un personaggio) mentre V/F è una dicitura tutta italiana: Voce Filtrata (attraverso un apparecchio telefonico, la tv, la radio e chi più ne ha più ne metta).
Così, giusto per darvi un'idea...

sabato 2 luglio 2011

La colazione di Frankie Machine

 
Sarà che io ho la deformazione professionale, ma quando leggo un libro è facile che nella mia testa si trasformi già in film. Cosa piuttosto perversa questa, perché in linea di massima i film tratti dai libri finiscono col deludermi anzi, per dirla tutta non ho ancora trovato un film tratto da un romanzo che sia meglio del romanzo stesso. Poco importa, ci sono meccanismi della mente che è impossibile controllare  e così, mentre leggo, io comincio già impunemente a organizzarmi per il casting. Nel mio mondo ideale, i casting dovrebbe farli tutti Juliet Taylor, una che non ha mai sbagliato una faccia e ha un tocco magico nel creare cast armoniosi perfino nelle note stridenti. Nella realtà però non è così e  purtroppo molto spesso si fanno degli errori davvero notevoli e che, per giunta, sono più annunciati della morte raccontata da Gabriel Garcia Marquez.

Per esempio, io sarei disposta a giocarmi una discreta somma di danaro sul fatto che un buon ottanta per cento di quelli che hanno letto Caos calmo, hanno immaginato che il protagonista, Pietro Paladini, avesse il volto di Sergio Castellitto. Era così ovvio che fosse lui il prescelto, colui che - fin dalle prime righe del romanzo - era destinato a interpretarlo, che quando invece è stata diffusa la notizia che Pietro Paladini l'avrebbe fatto Nanni Moretti, sembrava quasi che si trattasse di uno scherzo.

Non che io abbia niente contro Moretti, anzi. Ma si può immaginarlo a fare surf in  Maremma? Si può immaginarlo ad avere una incontrollabile quanto incresciosa erezione mentre salva una donna che annega? Si può mai pensare che sia il fratello di Alessandro Gassman (peraltro invece castato benissimo)?

Benché la critica abbia molto lodato la sua interpretazione, per me Nanni Moretti è l'elemento che toglie credibilità a tutto il film. Un giudizio sicuramente lapidario, ma sincero e sentito.

Cosa c'entra tutto questo con Frankie Machine? C'entra,  c'entra... perché colui che ha redatto la quarta di copertina dello splendido "L'inverno di Frankie Machine" di Don Winslow, ha messo le mani avanti e in calce alle note sull'autore, ha aggiunto che dal libro sarà tratto un film diretto da Michael Mann e interpretato da Roberto De Niro (anche su questo avrei da ridire: per convincermi del valore del libro e quindi indurmi a comprarlo, mi dici che diventerà un film? Siamo messi davvero male).

Io sono stata diligente e così, fin dall'incipit, ho dato al caro Frankie le fattezze di De Niro ma la cosa è andata avanti per 5 o 6 pagine, non di più, perché più leggevo di come Frankie Machine inizia la propria giornata preparandosi la colazione, e più per me era evidente che Frankie Machine non avrebbe potuto essere altri che Clint Eastwood. Quella vita metodica, organizzata fin nei minimi dettagli, apparentemente senza crepe che ne scalfiscano la superficie, quei gesti asciutti, misurati, stridevano con De Niro quanto l'amplesso selvaggio raccontato in Caos calmo strideva con Moretti.

Senz'altro mi sbaglierò (e dopotutto, lo ammetto, Clint Eastwood ormai è davvero troppo vecchio), ma secondo me non è un caso che a cinque anni dall'uscita del libro, del film non se ne sappia ancora niente.

BAGEL ALLA CIPOLLA

Per 15 bagel umani o 10 da campioni
4 cucchiai di olio EVO
2 cucchiai di zucchero
1 bicchiere di acqua calda (ma non bollente)
15 g di lievito di birra
1 bel pizzico di sale
500 g di farina manitoba
1 cipolla media
1 cucchiaio di zucchero per l'acqua di bollitura
1 uovo per spennellare la superficie dei bagel

Di ricette dei bagel in rete se ne trovano tante, ma io ho preferito affidarmi a quella riportata in "Buon appetito, Elia!" che, essendo una ricetta di famiglia, mi sembrava più affidabile. 
Per prima cosa spezzettare il lievito e lavorarlo con i due cucchiai di zucchero finché non si sia sciolto. Aggiungere l'olio, il bicchiere d'aqua e lasciar tutto da parte per un quarto d'ora, il tempo che cominci a schiumare. Intanto tritare la cipolla e friggerla in olio d'arachidi fin quando non prenderà un bel colore marroncino e diventerà croccante. Asciugare su carta assorbente e tenere da parte. Aggiungere alla base liquida ottenuta con il lievito, la farina e il sale. Amalgamare, quindi impastare a lungo cioè fin quando non si otterrà una massa liscia ed elastica. Spianarla leggermente, distribuirvi sopra la cipolla fritta e riprendere a impastare fin quando non sarà ben distribuita. Dividere l'impasto in dieci o quindici parti e formare delle palline di cui bucherete il centro con le dita (almeno due, bisogna creare un bel buchetto). Sistemare le ciambelline su un vassoio infarinato, coprirle con un canovaccio e lasciarle lievitare per almeno un'ora. Quando i bagel avranno più o meno raddoppiato il loro volume, riempire d'acqua una pentola capace, aggiungervi un cucchiaio di zucchero e portarla a bollore. Abbassare la fiamma in modo che l'acqua frema appena e immergervi uno o due bagel alla volta. Teoricamente dovrebbero affondare ed essere scolati una volta riemersi, a me però non è successo così mi sono limitata a bollirli per tre minuti per lato. Compiuta quest'operazione, scolarli, sistemarli in una teglia rivestita con cartaforno, spennellarli con l'uovo battuto e infornarli in forno preriscaldato a 200° (wow, una temperatura nuova!) fin quando non saranno ben dorati (orientativamente 20 minuti). Lasciar raffreddare su una gratella.


LA COLAZIONE DI FRANKIE MACHINE
(omaggio a Stefano Consiglio)

Il metodico Frankie Machine, si prepara la colazione all'alba farcendo un bagel alla cipolla con un uovo fritto in una noce di burro. Accompagna il tutto con un caffé i cui chicchi ha tostato e macinato da sé, prima di trasformarlo nel tipico caffè lungo americano. Frankie consuma la colazione mentre, alla guida del proprio pickup, è diretto all'Ocean Beach Pier di San Diego, ma nulla vi vieta di mangiare questo bagel saporito e profumato un po' dove vi pare.


A Frankie non darebbe fastidio.